Comprensione del problema
«Non ha senso rispondere ad una domanda che non si è compresa. È duro
lavorare per uno scopo che non si desidera. Simili cose sciocche e tristi tuttavia
accadono spesso, nella scuola e fuori dalla scuola; ma un buon insegnante dovrebbe
sforzarsi di impedire che esse si verifichino nella sua classe. Lo studente dovrebbe
capire il problema e, di più, dovrebbe considerare di conoscerne la soluzione. Non è
sempre tutta colpa dell'alunno se questa comprensione e questo desiderio mancano; i
problemi dovrebbero essere scelti con cura, né troppo difficili né troppo facili,
semplici ed interessanti; e spesso essi dovrebbero essere presentati in una forma
gradevole, piana e atta a risvegliare la curiosità dei giovani.»
[Polya 1945, pagg. 25
e seg.]
Comprensione del testo
Una prima questione, a mio parere, riguarda la formulazione dei testi dei problemi. I
ragazzi conoscono il significato da noi attribuito a tutte le parole che utilizziamo? Ne
dubito, dopo aver visto alcune delle difficoltà degli studenti di IV! "Colpa"
degli alunni, che non stanno attenti, che si distraggono, che leggono senza soffermarsi
sulle parole o senza dare a tutte il giusto peso, ma forse anche "colpa" di noi
insegnanti, che non sempre esplicitiamo tutto. Vorrei fare di seguito degli esempi, che
potrebbero scandalizzare i matematici di professione, ma che credo non si allontanino
troppo da ciò che succede nelle nostre classi.
Vediamo alcuni esempi tratti dai problemi proposti su Matematica contro
luce, iniziando con alcuni dei termini comunemente utilizzati.
inscrivere | Sicuramente ai ragazzi è stata data la definizione di poligono inscritto ad una circonferenza. Non sono tanto sicura che questo basti per dire che la richiesta di inscrivere un poligono in una circonferenza non crei ambiguità. Anzi, credo proprio che, anche appena data la suddetta definizione, se facciamo ai ragazzi una tale richiesta, alcuni di essi disegneranno semplicemente un poligono interno alla circonferenza. | ||
circoscrivere | Analogamente, anche se è data la definizione di poligono circoscritto, non è immediato per i ragazzi sapere con esattezza che cosa intendiamo chiedere loro quando diciamo di circoscrivere ad una circonferenza un certo poligono. | ||
unitario | Alcuni ragazzi (questo l'ho direttamente verificato nel tirocinio) non sanno che "segmento unitario" sta per "segmento di misura una unità"; rispetto a tale precisazione o si bloccano perché non capiscono o proseguono ancora per poco, perché non sanno rispetto a cosa indicare le misure degli altri elementi del problema. | ||
staccare | Quando una curva ha due intersezioni distinte con una retta diciamo che essa stacca sulla retta il segmento che ha per estremi le due intersezioni; non credo però che questa definizione compaia sui libri di testo. Siamo sicuri che tutti i ragazzi danno a questo verbo il significato inteso da noi? | ||
generico | In questo caso, oltre a non essere sicura che questo aggettivo sia chiaro ai ragazzi, mi chiedo anche se sia una scelta veramente felice. Dà l'idea di variabile o semplicemente di preso a caso, ma, una volta preso, fissato? | ||
distanza | Non c'è dubbio che i ragazzi sappiano (e si ricordino) che cos'è la distanza tra due punti. Ma siamo sicuri che tutti sappiano (o si ricordino) che cos'è la distanza tra un punto e una retta o la distanza tra due rette? |
||
inscritto | ![]() Se questo è un rettangolo inscritto in una semicirconferenza... |
![]() ... perché un triangolo rettangolo inscritto in una semicirconferenza deve essere per forza così... |
![]() ... e non può essere invece così? |
Un altro dubbio, relativamente alla comprensione dei problemi da parte dei ragazzi, mi
sorge riguardo a certi costrutti.
Primo fra tutti, quello che spesso in matematica serve per brevità, caratterizzato da
quel fatidico "... rispettivamente..." a volte persino sottinteso:
Una circonferenza C ha centro O e raggio r. Siano: t una retta tangente a C, s una retta parallela a t che interseca C in due punti distinti A, B e siano H, K le proiezioni di A, B su t. | Non è ovvio e non è banale che i ragazzi capiscano che: - t interseca C in due punti distinti, uno dei quali viene chiamato A e l'altro B; - H è la proiezione di A su t; - K è la proiezione di B su t |
Dimostrare che i triangolo AOT, ADH sono congruenti. | Non sarebbe più semplice chiedere di dimostrare che il triangolo AOT è congruente al triangolo ADH? |
Un triangolo rettangolo ABC ha i cateti AB e AC di misure rispettivamente 8 e 4; preso un generico punto P sull'ipotenusa BC, siano H e K le proiezioni di P rispettivamente su AC e su AB. | Non è ovvio e non è banale che i ragazzi capiscano che: - AB misura 8; - AC misura 4; - H è la proiezione di P su AC; - K è la proiezione di P su AB. |
Altro costrutto che i ragazzi faticano a capire è quello in cui si utilizzano pronomi che grammaticalmente potrebbero riferirsi a nomi diversi; per noi il contesto geometrico risolve l'ambiguità; ma per loro, che cosa risolve l'ambiguità se deve essere il testo a chiarire il contesto geometrico?
Inscrivere in una circonferenza di raggio r un triangolo isoscele e determinare per quali valori dell'altezza essa è minore del triplo della base. | È la circonferenza o l'altezza del triangolo a dover essere minore del triplo della base? Per sciogliere il dubbio occorre considerare che la base è sempre minore o uguale al diametro della circonferenza, quindi il suo triplo è sempre strettamente minore della circonferenza... Banale, per noi. |
Data una circonferenza di centro O e raggio unitario determinare per quali valori di una corda AB, il triplo della sua distanza dal centro è maggiore della corda stessa. | Si tratta della distanza della circonferenza o della corda dal centro? Banale, per noi, sapere che non è nemmeno definita la distanza di una circonferenza da un punto, ma per uno studente? "Si definisce la distanza tra due punti, tra una retta e un punto, tra due rette... Non potrebbe qualche matematico aver inventato anche la distanza tra una circonferenza e un punto? Io non me la ricordo, ma è colpa mia..." |
Non dico che tutte queste espressioni andrebbero bandite. Si rischierebbe una grossa
perdita di agilità e non si avvicinerebbero mai i ragazzi a quello che è il
"gergo" (oltre che il linguaggio) dei matematici. Ma non credo sia buona cosa
dare per scontata la comprensione di ciò che diciamo, o almeno non all'inizio.
Un suggerimento che Polya dà al riguardo è quello di chiedere agli studenti di ripetere
l'enunciato; forse così, davvero, potremo avere almeno il dubbio che il nostro testo non
sia troppo ambiguo!
Scelta della variabile
Nella comprensione del problema, Polya fa rientrare la scelta dell'incognita. Giustamente, rispetto ai problemi presentati nella sua opera, egli parla di incognita (per i problemi di determinazione) o di tesi (per i problemi di dimostrazione). Comunque suggerisce di non perdere di vista ciò che si vuole ottenere, di riflettere su di esso, per trovare (ad esempio) problemi già risolti in cui si cercasse lo stesso elemento in un'altra figura, o teoremi già dimostrati in cui si volesse arrivare alla stessa tesi a partire da altre ipotesi.
Tutte queste riflessioni (si veda [Polya 1945] alle pagg. 129 e segg.) sono utili anche
per i problemi di cui ci stiamo occupando e sarebbe opportuno farle con i ragazzi, stando
però attenti, dal mio punto di vista, a operare una "leggera" modifica,
peraltro trascurata sia da Matematica uno
che da Matematica
controluce. Nei problemi di cui si sta trattando, infatti, non c'è una incognita,
bensì una variabile. Non credo sia solo una sottigliezza di un'appassionata di
logica...
Se chiedo ad un ragazzo il più banale problema di questo tipo, ad esempio, se gli chiedo
di esprimere in funzione del lato AB di un quadrato la sua area, credo che non
avrebbe grosse difficoltà. Ma se, dopo averglielo chiesto, gli dico subito che AB
è l'incognita del problema... o il ragazzo è uno di quelli che ascoltano poco gli
insegnanti, oppure non saprà come procedere. Se voglio aiutarlo, invece che confondergli
le idee, potrò invece dirgli che AB è la variabile (indipendente) del problema,
rispetto alla quale si vuole dire come varia l'area del quadrato (variabile dipendente).
Disegnare una figura
Giungiamo, a questo punto, ad una questione che ritengo abbastanza delicata e qui
particolarmente rilevante, in vista anche del tipo di attività che è stata proposta
durante il mio tirocinio: il ruolo della figura nella risoluzione dei problemi di
geometria.
Ricorderò sempre il mio imbarazzo quando il prof. Marchi mi colse, durante una lezione di
Matematiche complementari all'Università, tutta intenta nel cercare di fare un "bel
disegno" relativamente a non so più quale teorema; non se la prese più di
tanto, devo dire, ma nemmeno mi risparmiò la ramanzina sul fatto che "La geometria
è l'arte di fare i ragionamenti giusti sulle figure sbagliate". Non lo dimenticherò
mai, fosse anche solo per la situazione in cui me lo sono sentito dire!
A parte i dolci ricordi dell'Università, sono d'accordo sul fatto che elemento portante
in geometria deve essere la deduzione e che questa avviene nel nostro pensiero e non su un
foglio di carta: «la figura disegnata non è fondamento di conclusione rigorosa; questa
deve invece essere affidata esclusivamente al ragionamento coerente» [Manara, Marchi 1993, pag. 53].
Del resto già il Polya, che pure inserisce il tracciamento della figura tra i punti
fondamentali per la comprensione di un problema (si vedano le pagg. 111 e segg. di [Polya 1945]), sottolinea
che «la figura serve come ausilio, ma, per nessun motivo, come fondamento per i risultati
che si conseguono; questi si basano esclusivamente sulle connessioni logiche intercedenti
tra di essi» [Polya 1945,
pag. 114].
Il ruolo della figura, a mio parere, è quello di aiutare l'immaginazione, ossia quel
momento in cui non si vuole ancora dimostrare, ma si sta cercando che cosa dimostrare; non
si vuole ancora calcolare, ma si sta cercando che cosa calcolare; non si vuole ancora
procedere, ma si sta cercando la direzione.
Per risolvere un problema mi pare di poter dire che queste due facoltà, quella razionale e quella immaginativa, siano necessarie entrambe. Ma insegnare ai ragazzi a ragionare è possibile? Se anche lo fosse, è possibile insegnare ai ragazzi ad immaginare?
La prof.ssa Raffaella Manara, in un corso di perfezionamento, ci fece riflettere sul fatto che si può insegnare a ragionare in tanto in quanto si può educare i ragazzi a "riflettere sul proprio pensiero", a sviluppare il proprio "livello di consapevolezza" (si veda [Manara 1999]). Così, credo, che si possa non tanto insegnare ad immaginare quanto rendere coscienti i ragazzi delle proprie potenzialità immaginative. L'uso di CabriGéomètre serve proprio a questo. Fin tanto che i ragazzi hanno sempre e solo visto figure statiche, come fanno ad attivare la loro facoltà di immaginare figure in movimento? Magari qualcuno ce la fa immediatamente, ma gli altri? E soprattutto: come faccio io insegnante a capire che i miei ragazzi stanno figurandosi in mente ciò che anch'io ho in mente? Come posso sapere se stanno ricostruendo nel proprio pensiero esattamente la figura variabile descritta dal testo del problema? Cabri mi può essere utile per far capire ai ragazzi che sono "autorizzati" ad immaginarsi, quando sentono parlare di un triangolo inscritto in una semicirconferenza, non un unico triangolo, non semplicemente un triangolo qualsiasi tra tutti i possibili, ma un'intera famiglia di triangoli, che si trasformano uno nell'altro mantenendo invariate alcune proprietà ma mutandone altre.
Non c'è dubbio che l'uso di CabriGéomètre, come del resto di qualsiasi altro
strumento, debba essere fatto in modo molto attento. Il rischio, credo, è che invece di
stimolare l'immaginazione dei ragazzi la si blocchi, perché "tanto c'è Cabri"
che lavora per loro. Come cogliere i vantaggi dell'uso di Cabri senza correrne i rischi?
Innanzitutto credo che l'uso di questo software debba essere limitato nel tempo: è
all'inizio che devo assicurarmi di riuscire a comunicare ai ragazzi che cosa intendo per
"punto che si muove" su un certo vincolo; è all'inizio che devo trovare il modo
per farli accorgere di questa possibilità della loro immaginazione; una volta avviato il
processo, Cabri non deve più servire.
In secondo luogo deve essere chiaro l'atteggiamento dell'insegnante nei confronti del
valore del software. Non può essere usato come strumento di controllo, ad esempio, per
vedere se le nostre congetture riguardo ai casi limite erano corrette; è solo il nostro
ragionamento che le può convalidare. I ragazzi devono veder l'insegnante usare Cabri come
una lavagna, sulla quale egli scrive ciò che vuole, ciò che egli stesso (e non Cabri) ha
deciso. Semplicemente, si deve trattare di una lavagna dinamica, attraverso la quale
l'insegnante riesce a comunicare ciò che vuole in modo più efficace, grazie a dei
simboli in movimento.
Inoltre la figura di Cabri deve essere mostrata solo dopo aver lasciato il tempo ai
ragazzi di immaginarsi qualcosa; essa diventa allora non tanto un controllo sul
ragionamento, ma un controllo sul fatto di essersi immaginati tutti la stessa cosa e di
poter iniziare a ragionare attorno alla stessa immagine mentale. Proporre la figura di
Cabri subito dopo aver dettato il testo di un problema, significherebbe relegare i ragazzi
ad un ruolo passivo, che è esattamente il contrario di ciò che ci si vuole.
Infine credo che Cabri possa, da un certo punto in poi, essere utilizzato in modo diverso
da studenti diversi. Quando lo ritenesse opportuno, ad esempio, l'insegnante potrebbe
affidare ai più brillanti la preparazione delle figure fatte con Cabri, da utilizzare
eventualmente nella lezione successiva come aiuto per i ragazzi che non siano riusciti a
risolvere i problemi, perché bloccatisi di fronte alla costruzione della figura.
Una parola ancora, a mio parare, va spesa riguardo all'uso di Cabri per evidenziare il
legame tra la figura iniziale e il grafico della funzione che il problema propone di
studiare. Il procedimento che si richiede ai ragazzi è quello di passare
dall'osservazione di certe proprietà geometriche della figura iniziale alla formulazione
di una relazione algebrica, e poi da questa alla sua rappresentazione grafica. In questo
modo, ciò che lega la figura al grafico è l'equazione, ricavata dalla prima e usata per
ricavare il secondo. Utilizzando Cabri come è stato fatto, questo passaggio si evita.
Ora, non è che si voglia (e nemmeno si possa) insegnare ai ragazzi ad evitare questo
passaggio, anche perché non sarebbe affatto utile una volta che si fosse privi del
software.
Anche in questo caso Cabri serve piuttosto per far capire ai ragazzi che essi possono (o
devono) immaginarsi anche i grafici in modo dinamico.
Non è così banale passare dalla concezione di parabola come luogo geometrico inserito in
un sistema di riferimento a quella di parabola come grafico di una funzione. Nel primo
caso, i punti della parabola sono alcuni dei punti del piano, scelti in modo da rispettare
determinate proprietà; questi punti costituiscono tutti insieme il luogo geometrico e per
un po' abituiamo i ragazzi a pensarli come un tutt'uno, tra l'altro
"indipendente" dal sistema di coordinate scelto: la parabola è la parabola, poi
posso decidere di inserirla in un sistema di riferimento e vedere che tipo di coordinate
hanno i suoi punti. Nel secondo caso, le cose cambiano notevolmente; l'idea è che si ha
fin da subito un sistema di riferimento e in esso si vanno ad evidenziare tutti i punti le
cui coordinate soddisfano un certo legame, tutti i punti la cui ordinata è in una certa
relazione con la rispettiva ascissa. Qui è insita l'idea di variabilità e di movimento
che nello studio delle coniche in quanto tali non emerge. Prendere sottogamba questo fatto
implica a mio parere delle difficoltà enormi che riemergono, solitamente, nell'ultimo
anno di corso, quando si iniziano a studiare i limiti delle funzioni reali a variabile
reale. Per alcuni ragazzi, non abituati a immaginare i punti che si muovono sul grafico
delle funzioni, il nostro dire "dove va la y quando la x va a
...?" non ha alcun senso e quindi non li aiuta a capire il concetto di limite; credo
che ciò sia attribuibile al fatto che non li si è mai abituati a immaginare "la y
che va da qualche parte", non li si è mai autorizzati a pensare il grafico se non
come un disegno statico di qualche cosa.
Di nuovo, per i ragazzi più brillanti si apre una ulteriore possibilità. La costruzione
del grafico della funzione ricercata nel problema è "banale" quando si tratta
di un perimetro o comunque della misura della somma o della differenza tra segmenti, o tra
multipli di segmenti. È tutt'altro che banale, invece, quando si tratta di moltiplicare
tra loro le misure dei segmenti o di dividerne una per un'altra. Far fare ai ragazzi
questa costruzione (non a tutti, si intende, ma a coloro per i quali ad un certo punto la
risoluzione dei problemi è già diventato un puro esercizio, una pura ripetizione)
implica insegnargli ciò che noi abbiamo imparato solo all'università, ma che da solo
può far veramente concepire la grandezza della geometria analitica. Utilissimo sarebbe, a
mio parere, farglielo apprendere direttamente leggendo le primissime pagine della
Geometria di Cartesio. ma qui si aprirebbe tutto un altro discorso, che va ben al di là
del nostro immediato interesse...!